Sudici, pigri, infidi, disonesti: i peggiori stereotipi legati all’immagine degli zingari circolarono tanto più diffusamente nella Germania hitleriana, quanto più l’ideologia nazista era fondata sul mito della purezza della razza e sull’incubo rappresentato dai cosiddetti «asociali». Alla prova dei fatti, i pregiudizi negativi non mancarono di tradursi in pratiche discriminatorie e persecutorie. Grazie al libro di Guenter Lewy, finalmente disponiamo di un’analisi sistematica del trattamento riservato dal nazismo alle decine di migliaia di sinti e di rom che, per quanto di cultura nomade, erano stanziati entro i confini deI Terzo Reich. Da subito dopo l’avvento di Hitler al potere, si cercò di risolvere il «problema degli zingari» con ogni mezzo: operazioni di custodia preventiva, un’accurata tassonomia razziale, apposite leggi sulla sterilizzazione. Poi, apertamente si invocò una «soluzione finale» non soltanto per la questione ebraica, ma anche per quella tsigana. Scoppiata la seconda Guerra mondiale, diverse migliaia di zingari furono deportati nella Polonia occupata e reclusi nei campi di concentramento (soprattutto ad Auschwitz). Dopodiché, fra 1941 e ‘42,l’invasione dell’Unione Sovietica segnò l’apertura della caccia agli zingari dell’Europa orientale, immancabilmente trattati come spie e metodicamente eliminati. Lo sterminio degli zingari fu o non fu un genocidio comparabile a quello degli ebrei? Qualunque sia l’opinione di Lewy in proposito, compiuta la lettura di questo libro riesce difficile accettare che un giorno del calendario sia stato istituito, in molti paesi occidentali, quale « Giorno della memoria» della Shoah anziché del Genocidio in generale. Come gli armeni sterminati dai turchi all’inizio del Novecento, come i tutsi sterminati dagli hutu nel Rwanda di fine secolo, gli zingari sterminati dai nazisti meriterebbero di condividere, nella memoria collettiva dell’umana vergogna, un posto accanto agli ebrei. Sergio Luzzatto